Qualche giorno fa sulla mailing list di Spaghetti Open Data è passato il link ad una raccolta di proposte confezionate dall’intellighenzia nostrana da sottoporre al Ministero della Funzione Pubblica, nel contesto della consultazione del progetto “Italia Open Gov” (rivolto al potenziamento delle politiche di open-government, trasparenza e partecipazione attiva), ed avevo felicemente notato – nella cartella “Innovazione e Cittadinanza Digitale”, documento numero 3 – che un’anima pia aveva avuto cura di infilare una suggestione espressamente dedicata al software libero nella pubblica amministrazione, non solo per la sua adozione ma pure per introdurre una governance “a misura di nerd” che potesse conciliarsi con le dinamiche proprie della comunità di sviluppo opensource. Certo un ottimo spunto, destinato a sopperire ai difetti intrinseci dell’attuale legge sul riuso riportata sul Codice di Amministrazione Digitale.
Quando poi è stata segnalata la disponibilità e la pubblica apertura del portale dedicato alla suddetta iniziativa governativa, lesto son ito a controllare le attività che erano state effettivamente incluse a partire dalle bozze circolate. Le ho trovate tutte, sotto varie forme e rielaborazioni. Tutte tranne una. Proprio quella sul software libero. Cercando bene nei documenti esposti qua e là un “open source” ogni tanto salta fuori, ma lo do per scontato, in un piano che parla di “open government”. Anche in questa occasione nessun ruolo strategico è stato voluto dare né al modello di sviluppo condiviso né al licenziamento del software prodotto ed usato dall’amministrazione pubblica, e nessuna azione è stata pianificata per sistematizzare un sano riuso applicativo all’interno della macchina burocratica.
La puntualità quasi chirurgica con cui a Roma si continua ad ignorare il tema è preoccupante. Perché non sembra più essere “una svista”, ma una deliberata e consapevole scelta.
Già sono rimasto molto colpito quando nel corso della consultazione su “La Buona Scuola” Linux, il software libero e l’opensource sono stati tra i temi in assoluto più menzionati dai partecipanti, salvo poi non trovare nessuno spazio all’interno del successivo Piano Nazionale Scuola Digitale. E, rivangando ancora più indietro nella memoria storica di questo mio blog, a metà 2014 il medesimo Ministro Madia aveva ricevuto numerose segnalazioni e solleciti a favore del software libero, che mai hanno avuto un seguito. C’è addirittura chi sostiene che, oltre ad ignorare passivamente la tematica, il Governo si sia pure mosso per sfalciare attivamente le direttive pre-esistenti (personalmente non ne sono allarmato, ma c’è chi lo è). Senza voler considerare le contestabili misurazioni su cui si basano le politiche occupazionali.
Data una così ampia premura nel non premurarsi affatto della questione, vien da chiedersi: vale la pena continuare a perder tempo mendicando una pacca sulla spalla da parte delle istituzioni? Qualche tempo fa ho espresso la mia titubanza sugli sforzi che troppo spesso vedo consumarsi nel vano tentativo di raggiungere le amministrazioni centrali, imputando tale perplessità alle ricadute pratiche che si possono ottenere, marginalizzate dalla complessità dell’apparato statale; oggi rinnovo tale sentore, aggiungendo che suddetti vani sforzi sono ulteriormente ostacolati da una evidente insofferenza e, forse, da una sottile ostilità.
Potrei stare tutto il giorno a seguire i periodici progetti di partecipazione popolare, le occasionali consultazioni online, i diversi tavoli di lavoro regolarmente aperti alla società civile, struggendomi nella perenne “opportunità” di dire la mia e nella costante speranza di essere ascoltato dal Ministro o dal Sottosegretario di turno. Ma, francamente, c’è altro da fare.