Al Limite dell’Infinito

9 ottobre 2023

Più o meno nello stesso momento in cui scrivevo che l’open source domina su pressoché ogni settore tecnologico, Stefano Maffulli – direttore di Open Source Initiative – si batteva il petto perché il medesimo movimento open source non è riuscito a cavalcare le due maggiori rivoluzioni digitali dell’ultimo decennio: il cloud ed il mobile.

La premessa è che il blog post sopra linkato ha l’intento primario di spiegare, contestualizzare e promuovere la campagna intrapresa da OSI per dare una definizione di “open source” nell’ambito di quella che è la terza rivoluzione digitale del decennio, la cosiddetta Artificial Intelligence, ma credo che valga la pena sviscerare un poco le posizioni espresse. Per smontare la tesi, e arrivare al punto.

Innanzitutto: quando parliamo di open source, stiamo parlando di software. Ovvero di un bene riproducibile all’infinito, a costo zero. E che pertanto può essere distribuito a tutti, senza oneri, per facilitarne l’adozione, accelerarne l’integrazione e – in ultima istanza – permettere la partecipazione attiva ed il miglioramento collettivo. Il successo sta essenzialmente tutto qui: nell’implementare un modello produttivo e industriale applicabile al mondo digitale, in cui non esistono materie prime, risorse, macchinari, operai o logistica, e dove pertanto non possono essere applicate le dinamiche canoniche di scarsità, approvvigionamento, economia di scala, capitalizzazione, surplus, e tutto quello che normalmente descrive dal punto di vista economico la produzione delle mele, dei tavoli, degli aerei o di qualsiasi altro prodotto.

Quando parliamo di cloud e mobile, stiamo invece parlando di oggetti fisici. “Il cloud” è, come tutti sappiamo, “il computer di qualcun altro”, ed in quanto computer deve non solo essere costruito ma anche piazzato da qualche parte, continuamente alimentato con energia elettrica e connesso all’internet. “Il mobile” è una categoria di dispositivi embedded, ovvero primariamente agglomerati di componenti elettronici su cui incidentalmente è installato del software. Volenti o nolenti entrambi i contesti appartengono alla sfera dell’economia classica, in cui delle risorse (silicio, rame, alluminio: disponibili in quantità finita, dunque scarsi, dunque costosi) devono essere consumate per ogni singola unità prodotta o erogata. E ben difficilmente tali risorse – o meglio: l’onere richiesto per allocare queste risorse – può essere condiviso e distribuito.

Come dovrebbe essere fatto il “cloud open source”? Forse dovrebbe esistere una rete di server federati che espongono funzioni infrastrutturali comuni, che possano essere sfruttate liberamente da tutti? Esistono diversi esperimenti in tal senso, ma tutti di modesta diffusione proprio perché inevitabilmente basati sul presupposto che qualcuno si sobbarchi, volontariamente e spontaneamente, i costi operativi (storage, banda, computazione…) di tutti gli altri. E come dovrebbe essere formulato il “mobile open source”? Già esistono diverse alternative libere ai canonici Android e iOS, ma alla luce del fatto che queste richiedono un attivo e tutt’altro che banale impegno da parte degli utenti anche solo per essere installate non credo siano destinate ad andare molto più lontano di quanto Linux sia andato sul desktop; d’altro canto proprio la frammentazione delle piattaforme mobili ha creato l’esigenza di semplificare lo sviluppo delle applicazioni, ed anche qui le soluzioni open source sono, di fatto, l’unica opzione solida per un intero ramo dell’industria IT.

E come la mettiamo con la AI? Questa è una bella domanda, e sono lieto che OSI se la sia posta. Quando parliamo di AI ci riferiamo essenzialmente ad algoritmi (e dunque software, e dunque bla bla bla quello che ho scritto sopra) e – soprattutto? – a modelli dati, che a loro volta sono assets digitali duplicabili all’infinito. I quali hanno però un processo di genesi ben diverso rispetto al software: sono elaborazioni di dati e informazioni (immagini, testi, suoni…) distribuiti con una propria licenza, che può essere libera o meno (e determinano poi la licenza con cui il modello stesso potrà e dovrà essere distribuito e utilizzato da altri), ed in molti casi necessitano di grandi risorse computazionali (finite, scarse, costose) per essere non solo generati ma anche modificati ed estesi. Il blob binario infine derivato potrà poi essere distribuito pubblicamente, ma non c’è nessun valore aggiunto, e dunque nessuna motivazione, nel farlo: laddove il cardine del modello di sviluppo open source sta nella pubblica partecipazione – il prerequisito della quale è l’accesso al codice, da cui deriva l’effetto collaterale della gratuità – un modello dati fatto e finito non può essere collaborativamente modificato e perfezionato, se non intervenendo sulla base di dati da cui è stato generato. Motivo per cui le fonti di dati liberi, e persino le iniziative community appositamente nate per raccogliere dati collettivi con l’esatto scopo di alimentare modelli AI, non mancano, ma sta poi al singolo dispiegare la potenza computazionale (finita, scarsa, costosa) richiesta per macinarli ed ottenerne l’effettivo artefatto da dare in pasto al proprio algoritmo. Non so anticipare quale sarà il risultato di OSI nel suo compito di dare una definizione di “intelligenza artificiale open source”, ma non dubito che persone più intelligenti di me prenderanno in considerazione questi fattori; il rischio contrario è quello di partorire una versione ideologica, utopica, e pertanto inapplicabile e non credibile.

Inquadrando il fenomeno open source in una cornice economicista (materialista, e – diciamolo – persino un po’ marxista) diventa, a parer mio, più semplice determinarne il perimetro, prevederne le conseguenze, conoscerne i limiti, anticiparne i progressi. E comprendere dove è necessario, o semplicemente più conveniente, intervenire. L’open source descrive l’infinito, e l’infinito è il suo unico campo di applicazione; se è finito, non può essere open source.

Una Risposta to “Al Limite dell’Infinito”


  1. […] seguito di un toot di Stefano Maffulli – attuale direttore di Open Source Initiative, già recentemente citato su queste pagine – ho avuto modo di articolare un breve scambio di messaggi. Terminato senza […]


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