Questo articolo, trovato tempo fa scorrendo pigramente la timeline di un social network, mi ha rammentato un pensiero sorto oramai anni addietro: alla comunità linuxara manca una coscienza di classe.
Tale pensiero è emerso dopo l’ennesima conversazione con l’ennesimo rampante attivista linuxaro, uno di quelli inflessibili nei confronti dell’utilizzo esclusivo di Linux e del software libero da parte delle masse (e delle scuole, e delle pubbliche amministrazioni…), che lanciando i suoi strali ai danni di Microsoft, Google o del Governo miope e colluso pronunciò la magica frase “Poi sì, io Windows lo uso, ma solo perché devo per lavoro. Sai: l’ufficio, la famiglia, i figli…”. Non so dire dove e quando suddetta conversazione avvenne, perché di analoghe ne ho avute a dozzine: fiumi di linuxari intransigenti di notte e nei weekend, e operatori al servizio del software proprietario (e molto spesso proprio dei BigTech, in modo più o meno diretto) dalle 9 alle 18. Ma ricordo che proprio quella specifica occasione mi portò a prendere atto del triste stato delle cose: a prescindere da valori e principi, risorse e competenze vanno comunque altrove.
Cosa non da poco. Perché proprio la disponibilità di risorse e competenze consolidano i monopoli, ed anzi sono la ragione stessa dell’esistenza dei monopoli. E, viceversa, la scarsità – o comunque il difficile reperimento – di risorse e competenze in ambito Linux rallentano ed ostacolano l’adozione e la diffusione, magari proprio presso quelle stesse masse (e quelle scuole, e quelle pubbliche amministrazioni…) che vorrebbero compiere qualche passo in quella direzione ma non sanno a chi rivolgersi e finiscono dunque col dover rinunciare.
In cosa dovrebbe consistere questa “coscienza di classe linuxara”? Nell’adottare anche sul proprio posto di lavoro quelle attitudini che abitualmente si manifestano sulle mailing list, sui canali Telegram, e in altri ricettacoli di smanettoni. Senza necessariamente essere oltranzisti (del resto: si parla del proprio lavoro, mica di quello di qualcun altro…) ma mettendoci almeno un poco di buona volontà.
La forma più ovvia e scontata è quella di promuovere una esplicita adozione di soluzioni open source nel proprio ufficio, cosa che spesso fallisce se ci si rivolge direttamente al management – molti dirigenti vivono in quella dimensione parallela in cui “Microsoft” è sinonimo di “professionalità”, convinzione basata su una fede di carattere religioso e pertanto difficile da confutare – ma che talvolta attecchisce quando si coinvolgono i colleghi – spesso più aperti nel provare qualcosa di nuovo, essendo implicitamente percepito come stimolante – o si reitera il messaggio per un numero sufficiente di volte.
Aneddoto motivazionale. Molti anni fa facevo il programmatore in una azienda le cui procedure interne non erano particolarmente sofisticate ed in cui il codice veniva scambiato tra i colleghi su chiavette USB, con tutti i grattacapi che si possono facilmente immaginare in caso di modifiche concorrenti sugli stessi file. Il sistemista dell’azienda – che fungeva anche da oracolo per tutte le questioni tecnologiche – era un fan-boy Microsoft (e, conseguentemente, un detrattore dell’open source), e percependo che era giunta l’ora di adottare una soluzione un tantino più evoluta di code sharing si rivolse a me – all’epoca, il dipendente più giovane e pertanto il più flessibile nei confronti dei cambiamenti – per indurmi ad iniziare a usare Perforce, ovvero quel che al tempo era una sorta di distribuzione commerciale e proprietaria di SVN il cui client esisteva solo per Windows. Alché io – già all’epoca convinto adepto della setta linuxara, allibito all’idea di dover lavorare su un PC Windows – ho recuperato un vecchio computer desktop non più utilizzato, ci ho installato sopra Debian e FusionForge (un antesignano di GitLab), con la maliziosa complicità di un paio di colleghi anziani l’ho piazzato in uno sgabuzzino, ed ho iniziato a committare lì la mia roba, istruendo man mano tutti gli altri all’utilizzo dell’issue tracker integrato (più ordinato ed efficiente dei pizzini di carta su cui mi avevano annotato bug e segnalazioni fino a quel momento) e poi all’utilizzo stesso di SVN per scambiarsi le loro proprie modifiche. Un anno dopo, quello nello sgabuzzino era per tutti (dirigenti aziendali compresi) il server ufficiale per la condivisione del codice interno, nessuno parlò mai più di Perforce, sulla mia postazione di lavoro continuavo ad adoperare solo Linux, ed il sistemista mi aveva tolto il saluto.
Dopodiché esistono diverse altre accortezze che sarebbero opportune. Come evitare di favorire la ricerca di nuovo personale da parte di chi assume sistemisti Windows e programmatori .NET, ed evitare di far circolare tali appelli tra le proprie conoscenze. E prendere atto del fatto che se si manda un giovanotto alla prima esperienza a configurare le stampanti nelle LAN ActiveDirectory aziendali o a mantenere i vecchi gestionali contabili in C# dei clienti non solo non gli si sta facendo un gran favore, né personale né professionale, ma si stanno attivamente e deliberatamente sottraendo risorse e competenze alla Causa di cui sopra. Persino ci si può spingere a veicolare all’interno della propria azienda il proposito di sostenere economicamente i progetti open source che vengono utilizzati per le attività professionali, alla luce del fatto che qualsiasi azienda – pure la meno linuxara dal mondo – qualche strumento open source, suo malgrado, lo adopera.
Certo non si può ignorare il fatto che chi ha famiglia e figli a carico possa avere delle giuste e lecite remore nel lasciare il proprio posto fisso per andare a consultare i (pure abbondanti) annunci di lavoro per sistemisti Linux o programmatori web/IoT, ed andare ad incorrere volontariamente in tutte le incertezze di una nuova e differente occupazione. Ma – nel momento in cui ci si accolla la responsabilità di farsi portavoce della Causa Freesoftware – qualche accortezza bisognerebbe pur prenderla. Almeno, non una di più e non una di meno rispetto a quelle che così calorosamente si pretendono nei confronti delle masse (e degli operatori nelle scuole, e nelle pubbliche amministrazioni…).
Linuxari di tutto il mondo, unitevi.